Oggi vorrei fare un piccolo post su quella che per me è la “magia del ritornare”. Non conosco molte persone che condividono questo termine, per cui entro e, vedendo che tutti gli altri posti sono occupati, mi siedo dalla parte del torto (cit. necessaria – Brecht).
Dolce ritorno?
D’altronde è comprensibile che a molti non piaccia ritornare sui propri passi. Per il viaggiatore europeo tipico, sempre alla ricerca di un paradiso perduto con nobili selvaggi che amoreggiano tra le frasche e colgono i frutti della generosa terra, il progresso raramente porta miglioramenti. E senza dubbio dobbiamo ammettere che l’Africa, l’Asia e anche il Sud America, negli ultimi anni, di progressi ne hanno fatti molti.
Chi usa l’auto tutti i giorni per andare a lavorare è in genere molto affascinato dai carretti trainati da buoi e scuote la testa se al ritorno in quella sperduta provincia laotiana qualcuno ha comprato il pick-up.
Sarà perché non mi ritengo un romantico, sarà perché la “tradizione” non mi ha mai affascinato tanto quanto il futuro (e le sfide che ci attendono) ma insomma, io sono sempre tornato con piacere sui luoghi dove avevo girovagato e mi sono sempre sforzato di non giudicare.
Ritornare e apprezzare il cambiamento
Il mondo cambia e i paesi che fino a qualche decennio fa erano in via di sviluppo cambiano ancora più in fretta di un’ Europa un po’ decadente, adesso impaurita, aggrovigliata e richiusa su se stessa.
La Vientiane del 2008 era davvero un’altra città rispetto a quella che ho visto anche solo 6 anni dopo. Le isole Phi Phi, nel mar delle Andamane, hanno visto una crescita quasi “selvaggia” del turismo (pur essendo l’area integrata nel parco naturale Hat Nopparat Thara – Mu Koh Phi Phi) nei 6-8 anni dopo lo tsunami del 2004, crescita che ha riempito il lungomare di Phi Phi Don di alberghetti affacciati su una passeggiata in cemento piuttosto squallidina, crescita che ha portato alla chiusura della spiaggia di Maya Bay (quella con Di Caprio in The Beach per intenderci). Eppure.
Insomma le cose non sembrano migliorare a noi sciocchi turisti. Ci sbagliam e io continuo a provare una certa felicità nel ritornare. Forse perché tornando vedo con i miei occhi che il posto dove sono stato ha continuato ad esistere anche senza di me. Perché poi, a mio parere, la forza del viaggio sta proprio anche nel capire che il mondo esiste anche senza di voi e ritornare vi fa toccare con mano questa realtà.
Elogio della complessità
Mi piace ritornare inoltre perché credo nella complessità della vita odierna e credo che non si possa liquidare la vita delle persone con una superficiale analisi fatta da chi si ferma per un paio di giorni e ha la testa imbottita di strane idee su quello che dovrebbe essere e non dovrebbe essere il progresso.
Mi piace gironzolare per le vie e magari ritrovare quel ristorante in cui mi ero ritrovato così bene o quel bar in cui avevo preso una sbronza colossale. Le strade hanno un sapore rassicurante e le persone non sembrano estranee.
D’altra parte capisco la delusione nel vedere lo scempio edilizio o nel constatare che tutto quel caratteristico piccolo commercio fatto di venditori di strada e mercati galleggianti sia stato sostituito da un moderno centro commerciale bianco e luccicante. La cosa però che dovremmo capire è che la nostra delusione spesso non è la loro delusione, se capite cosa intendo.
Chi c’è e chi non ci sarà
A Vientiane al posto delle baracche che arrostivano il pesce sul Mekong oggi trovate una passeggiata in cemento grezzo, un mercatino cino-laotiano e qualche venditore ambulante. Bene o male?
A Luang Prabang non c’è più il senso di essere dispersi nell’immenso ventre verde della giungla laotiana insieme a qualche turista tedesco e francese, ma c’è un boutique hotel con il wifi più potente che a casa vostra.
Sulle spiagge della penisola di Nicoya, nella Costa Rica, ci sono più turisti e più attività che a Riccione e al tramonto si deve fare la fila per scattare una foto.
Bene o male?
Io credo debba subentrare il nostro senso di realtà, la nostra dimensione pratica. Dobbiamo fare lo sforzo di scrollarci di dosso il mito del “buon selvaggio” e del contadino sorridente ma senza denti e senza scarpe. Non possiamo pretendere che un popolo rimanga nel medioevo solo perché vogliamo inquadrare con l’obiettivo della nostra macchina fotografica un frammento di quel passato che da noi non esiste più. Invece il turista odierno vorrebbe condannare intere regioni ad essere “vere” solo perché gli stereotipi vengono meglio in cartolina.
Per concludere
Bangkok è Thailandia così come lo sono le popolazioni contadine dell’Isan. La Costa Rica è tanto giungla incontaminata quanto il vivace ma a tratti squallido caos di San Josè. La Colombia è fatta dalla straordinaria (e necessariamente inflazionata) dimensione storico/artistica di Cartagena e dal tentacolare e onnipresente traffico di Bogotá. Saremo mai pronti a mettere da parte i nostri stereotipi per accettare la complessità di oggi?
A quanto pare il post su “ritornare nei paesi che abbiamo già visitato” sembra sia finito. Qui sotto trovate un altro poì di link con riflessioni varie sul viaggio. Qualcuna pratica, qualcuna meno.
Perché fare un assicurazione di viaggio
Viaggi e autenticità, un mito da sfatare?
Il turismo consapevole. Viaggi, società e politica
Come pianificare un viaggio dopo una pandemia