Nell’intervista che ho pubblicato una settimana fa (link qui) è ricomparsa la questione del viaggio come cura.
È un argomento interessante che mi sento di voler affrontare proprio adesso che molti di voi stanno andando in (o tornando dalla) vacanza.
Senza farla troppo lunga immagini come quella qui sotto circolano su IG e su FB in quantità notevole e francamente mi fanno abbastanza ridere.
Il viaggio come cura, ma quelle foto le ho postate anche io!
La loro impressionante/ubiqua diffusione deve però spingermi a fare una riflessione un po’ più ampia e non semplicemente scartarle con un sorriso beffardo. Mi sforzo e penso che in qualche modo, diciamo Salviniano, esprimano una realtà (questa era un po’ difficile, lo so, scrivetemi in privato e ne riparliamo).
Con la questione del viaggio come cura si individua una problematica, la si porta alla luce e si offre una soluzione semplice, per quanto incompleta, incorretta o semplicistica. E poi si martella incessantemente sia sulla problematica che sulla semplicistica soluzione.
Siete insoddisfatti? viaggiate! Avete problemi digestivi? viaggiate! avete la depressione? viaggiate! non riuscite a camminare? viaggiate! Lourdes non è più un luogo fisico dove si compiono miracoli (?), ma uno stato d’animo, quello del viaggiatore errante, che promette soluzioni un tanto al chilo, self help da ombrellone.
Dovrei cercare di non giudicare, perché in fondo il viaggio come cura può funzionare
Sono critico, forse troppo, perdonatemi. Perché in fondo, in un certo senso, la cosa funziona. Chi viaggia si cura. Non certo il cancro, ma molte condizioni negative legate allo stress o al lavoro possono scomparire una volta che si è in viaggio (o per lo meno ridimensionarsi). E sono il primo a dirlo perché l’ho sperimentato su me stesso (Sarah, sempre nel precedente post, conferma).
Allora?
Il fatto è che tutto è molto più complesso di quanto sembra e a molti di noi non piace la complessità perché mal si adatta all’odierno linguaggio binario. Inoltre, spesso, non si fa l’essenziale differenza tra ferie, vacanze e viaggio.
Viaggio come cura e… il tappo!
Con le prime due (almeno a parer mio che mi trovo a lavorare con coppie e famiglie in vacanza da circa 20 anni) spesso i problemi vengono esacerbati (parolone? ingranditi diciamo).
Una volta che al vaso delle difficoltà della vita viene tolto il tappo del lavoro, del tempo che non c’è mai e della routine, il genio distruttore esce e tutte le incongruenze e insoddisfazioni, tutti i desideri repressi e le differenze tra l’immagine che noi pensiamo di dover avere e quella che abbiamo, saltano fuori. Magari in spiaggia a Riccione. E dopo son cazzi.
Il viaggio e i bagagli
Il viaggio invece comincia proprio dove la vacanza finisce e fa dell’assenza di certezze la propria ragion d’essere. Curiosità, esplorazione, dubbio, mettere in crisi le proprie visioni. Da questo rivolgimento, da queste incertezze nasce, paradossalmente, la sicurezza che ci porta a dire di essere “curati”.
Il processo però è lento, non certo diretto, pieno di salti in avanti e indietro e non è detto che lungo la strada non si perda qualcosa che prima avevamo (la sicurezza economica ad esempio, un amore, magari la famiglia, la carriera, un braccio). Questi sacrifici, queste perdite, non tutti vogliono subirle ma la cura non funziona se non rifacciamo il nostro bagaglio. Prima lo svuotiamo e poi lo riempiamo nuovamente con le cose che sappiamo servirci (no, la droga sarebbe meglio non metterla).
Si troveranno altri problemi? si, certo, ne troverete altri ma saranno quasi sempre alla vostra portata, in genere risolvibili con uno sforzo che non richiede di alzarsi alle 6 di mattina per 35 anni o lavorare 70 ore a settimana per pagare il mutuo.
Cura o percorso?
A mio parere sarebbe più corretto dire che il viaggio non è una cura, ma un percorso. Non si tratta di una pillola che fa sparire le malattie, ma di uno stravolgimento di quelle abitudini che abbiamo acquisito e che può portare ad un cambiamento. Se quello che stiamo cercando è questo, allora si, avremo trovato la nostra “cura”.
Se volete un cambiamento/cura il luogo dove si viaggia o quello che si fa in viaggio a mio parere contano davvero poco. Fare cose nuove ogni giorno o rilassarsi in amaca cambia poco, ogni persona ha bisogno del suo ritmo, delle sue scelte e del suo percorso. Chi vuole andare a scoprire la natura incontaminata con trekking lunghi alcuni giorni lo potrà fare. Chi ama sorseggiare rum nelle bettole di Caracas può, anzi, deve farlo. Non c’è giusto e sbagliato, non ci sono regole (finché si rispettano le altre persone ovviamente, ma devo davvero precisarlo?).
Se avete invece solo bisogno di andare in bagno con regolarità o dormire qualche ora in più, non pensate che 6 mesi zaino in spalla siano la bacchetta magica. Prendete il Pursennid e via!
Se siete interessati alla questione perché non cliccate qui e vedete se vale la pena di viaggiare da soli.
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