Diavoli stranieri sulla via della seta di Peter Hopkirk

Un viaggio tra l’attualità, un impero in espansione e uno in decadenza. O ancora, un viaggio nel tempo e nell’Asia Centrale. No, non avete sbagliato blog, non sono qui a raccontarvi la seneggiatura di Indiana Jones V. Sono qui a parlarvi di “Diavoli stranieri sulla via della seta” di Peter Hopkirk. Potrebbe sembrare strano ma questo saggio di Peter Hopkirk, incentrato sui tesori sepolti dalle sabbie nel Turkestan cinese, si allaccia inevitabilmente con una triste attualità.

Il Turkestan cinese anche detto Xinjiang

Diavoli stranieri sulla via della seta. Cartina del Turkestan cinese. Fonte britannica.com
Diavoli stranieri sulla via della seta. Cartina del Turkestan cinese. Fonte britannica.com

Il Turkestan cinese (chiamato dai cinesi Xinjang) è sempre stata una regione di confine, una regione a volte autonoma (ad esempio con il regno di Loulan o di Kucha), altre volte a fatica amministrata dai cinesi. Per lunghi periodi il controllo esercitato dai cinesi era solo formale, in genere strettamente legato a una remota guarnigione stanziata in un qualche angolo di quel deserto noto come Takla Makan. Tutto intorno alla guarnigione il territorio era invece alla mercè dei banditi o di altri regni dell’asia centrale, regni che hanno sempre dato filo da torcere ai cinesi e ai mercanti che usavano questa parte della via della seta.

La stabilità portata dalle truppe di Pechino era quindi quasi sempre temporanea, soggetta ai capricci di altri popoli nomadi e seminomadi ma anche, se non soprattutto, al rapporto di questi con la natura che rendeva abitabili questi territori solo con un uso attento e accorto delle risorse idriche. Erano queste infatti a rendere possibile l’agricoltura e la vita in un’area desertica e semidesertica come quella del leggendario deserto del Takla Makan.

Lo Xinjiang oggi

Il legame con l’attualità di cui parlavo nel cappello introduttivo è dato dal fatto che oggi nel Turkestan cinese è in corso da un lato un massiccio arrivo di cinesi di etnia Han, nel tentativo di rendere minoritario il gruppo etnico musulmano dominante degli Uiguri.

yarkand oggi
Una foto di Yarkand oggi. Diverse parti della città, anche storiche, stanno venendo distrutte per far spazio a nuovi quartieri. Fonte New York Times.

Dall’altro lato gli Uiguri, che per anni hanno messo alle corde gli eserciti imperiali cinesi, sono oggi sottoposti ad un regime che definire duro sarebbe un eufemismo. Checkpoint della polizia, pratiche religiose musulmane scoraggiate, tra 1 e 1,6 milioni di uomini rinchiusi in quelli che il governo cinese chiama campi di rieducazione, un nome con un eco sinistro che speravamo di non dover più sentire.

Nel 2014 la regione fu al centro di una serie di rivolte che terminarono con la morte di 37 poliziotti, per la maggior parte uccisi con coltelli e asce. Da quel momento la reazione del governo cinese è stata estremamente dura. L’unità e la fede nel partito comunista devono venire prima di tutto.

xinjiang reeducation camps
Xinjiang re – education camps. Fonte Wikipedia.

Quello che una volta era un luogo selvaggio e di confine, estremamente diverso dalla Cina Han, sta oggi venendo addomesticato attraverso la violenza e il controllo poliziesco/militare, politiche che certamente non fanno onore alla Cina.

Però, qui si stava parlando di un libro, quindi lasciamo l’attualità e torniamo alla carta stampata.

Diavoli stranieri sulla via della seta – anche una volta maltrattavamo la natura

Diavoli stranieri sulla via della seta - Casa editrice Adelphi
Diavoli stranieri sulla via della seta – Casa editrice Adelphi

I regni del Turkestan cinese scomparirono piuttosto in fretta. Tra l’VIII e il XII sec. gran parte di quel mondo era già stato sotterrato dalle sabbie. Al passaggio di Maro Polo molte città erano già svanite. Perché?

Fu l’inaridimento dei fiumi e/o la cattiva gestione delle risorse idriche e dei sistemi creati per incanalare verso valle l’acqua dalle montagne (quelle del Tibet e dell’Himalya nella parte sud del Takla Makan e quelle russo mongole nella parte nord) a determinare l’abbandono di città un tempo ricche che fungevano da intermediari tra il mondo indiano, quello greco – latino e quello cinese (guarda caso un recente articolo di Nature imputa proprio ad una cattiva gestione delle risorse idriche, per essere precisi ad una situazione simile a quella creata dall’uomo lungo le sponde del Lago Aral e non ad una calamità naturale, il crollo del regno di Loulan).

Arrivano gli Europei

Quando nella seconda metà del 1800 le notizie di città sepolte dalle sabbie iniziano a filtrare finno in India, in Russia e in Europa, le potenze europee del tempo si mostrano interessate. Studiosi inglesi (Sir Aurel Stein), tedeschi (Von Le Coq), francesi (Pelliot), russi e anche giapponesi (il conte Otani), si lanciano in rischiosissimi viaggi lungo la vecchia via della seta per cercare di trovare qualcuno dei tesori che ritenevano fossero custoditi sotto le sabbie del deserto.

Affreschi di Kyzil. Alcuni affreschi vennero staccati dalle apreti del monastero di Kyzil e riportati in Germania da Von Le Coq.
Affreschi di Kyzil. Alcuni affreschi vennero staccati dalle apreti del monastero di Kyzil e riportati in Germania da Von Le Coq.
Qui potete vedere una ricostruzione artistica di Loulan a destra (artista Guoping Liu da artstation.com) e una vista attuale delle rovine di Loulan nello Xinjiang (fonte chinasilkroadtravel.com). Potete spostare la barra centrale.

E di tesori in effetti ne verranno trovati diversi e molti di questi verranno portati dalla Cina. Oggi circa una trentina di musei fra la Russia, la Germania, la Francia e l’Inghilterra contengono intere ali riempite con i bottini delle spedizioni nell’Asia centrale.

Diavoli stranieri sulla via della seta. La Cina cosa dice?

I primi del ‘900 furono un periodo molto complicato per la Cina, come del resto un po’ tutto il ‘900. L’antico e millenario Impero Cinese, che si è sempre ritenuto più civilizzato rispetto ai “barbari” che ne occupavano i confini e anche rispetto agli Europei, fu costretto allora, in seguito alle guerre dell’oppio e all’occupazione militare di parte del suo territorio, ad accettare che spedizioni straniere andassero alla ricerca dei tesori dei regni perduti del Takla Makan.

Ma di quali tesori stiamo parlando?

Se vi state immaginando forzieri ricolmi d’oro, rubini, zaffiri e monete d’argento, state sbagliando. Si tratta soprattutto di manoscritti, statue, affreschi, sculture di vario tipo. Il tesoro era quindi tale in termini archeologici e non, diciamo, pirateschi.

Il deserto del Takla Makan

Il territorio in cui queste spedizioni si avventurarono era, ed è tuttora, un territorio desertico estremamente difficile. Venti così potenti che arrivano a sollevare rocce, noti come Kara Buran, scarsità d’acqua, temperature estremamente calde in primavera ed estate e gelide (fino a -30) in inverno e, ovviamente, tutt l’Asia centrale rimaneva inesplorata e difficilmente raggiungibile, lontanissima da porti e grandi città. Insomma, si doveva trasportare tutto a dorso di cammello e quello che ti portavi doveva bastarti, perché non c’era certo modo di trovare cibo.

Il deserto del TaklaMakan oggi. Immagine tratta da Wikipedia
Il deserto del TaklaMakan oggi. Immagine tratta da Wikipedia

In questo luogo desolato però, grazie a delle oasi e all’abile, almeno per un certo periodo, gestione delle scarsa acqua che scendeva dalle montagne, alcuni popoli riuscirono a prosperare, creando città e regni dove il buddismo nato in India si fuse con le tradizioni artistiche greche da un lato e cinesi dall’altro, producendo dei risultati affascinanti.

In Asia centrale, e nel Takla Makan in particolare, si trovano poi anche resti di templi manichei, di chiese nestoriane, oltre ovviamente a monasteri buddisti.

Diavoli stranieri sulla via della seta – conlcusione

L’epopea di questi archeologi ottocenteschi può essere vista sotto diverse luci.

Da un lato i cinesi lamentano giustamente il fatto di essere stati privati di quella che ritengono la loro storia (sebbene non sia la storia dell’etnia Han, che oggi è quella dominante in Cina), dall’altro gli archeologi otto-novecenteschi potrebbero rispondere dicendo che se non ci fossero stati loro a salvare quei tesori il rischio era che i contadini del luogo distruggessero i “templi dei demoni” o utilizzassero i colorati affreschi come concime per i campi (come è in effetti avvenuto in più di un caso)

yarkand oggi
La città di Yarkand oggi. Fonte remotelands.com

Alle rimostranze cinesi viene quindi risposto che i tesori sono stati salvati dalla distruzione e sono oggi esaminabili, visibili e conosciuti solo perché sono stati portati via da quel luogo.

Come spesso capita tante domande e poche risposte. In ogni caso “Diavoli stranieri sulla via della seta” è un libro avvincente, ben scritto ed affascinante, che ha nioltre il merito di coprire un periodo storico e un luogo di cui raramente si sente parlare. Consigliatissimo!


Il post su “Diavoli stranieri sulla via della seta” di Peter Hopkirk è finito. Se volete leggere qualcosa di altri libri:

Il falco di Hernan Diaz

In una notte così, il mio ultimo romanzo

Congo di David van reybrouck

Come diventare nomadi digitali, forse

Il leopardo di Kublai Khan

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