I “Cacciatori nel buio” di Lawrence Osborne

Era un po’ che non lo facevamo, per cui oggi parliamo di un libro, “Cacciatori nel buio” di Lawrence Osborne. Mettiamo subito le carte in tavola, sono di parte. Osborne è uno di miei scrittori preferiti e le mie aspettative erano alte.

Nudo nell’anno del Signore 2006

Ricordo il primo contatto con un libro scritto da Osborne. Si trattava de “Il turista nudo” (Adelphi 2006), un saggio che aveva come tema il viaggio e in particolare un viaggio nel sud est asiatico.

Probabilmente è stato proprio da quelle descrizioni di una Bangkok lasciva, compromessa e vitale, dove nessuno si arroga il diritto di giudicare nessuno, che mi è nata una certa passione per quella città (e non ho ancora capito se questa passione si sia poi estesa a tutto il sud-est asiatico ma tant’è). Il suo secondo saggio, “Bangkok”, trattava solo questa città e scendeva ancora più nel dettaglio, scandagliando i bassifondi e mischiando romanzo e saggistica in maniera tanto irriverente quanto “cafonal”, come direbbe D’Agostino (perché in fondo credo che Bangkok sia una città profondamente cafonal, specie a causa dei reietti/patetici occidentali che si aggirano nei suoi vicoli, sottoscritto compreso).

Nella mia gallery sul telefono ho una foto di un’ intervista di Osborne su La Repubblica dove il giornalista gli chiedeva “Dopo tanto peregrinare perché ha deciso di fermarsi a Bangkok?” e lui risponde “Perché è pazza, gentile, selvaggia, caotica, corrotta, serena, meticolosa, raffinata, sensuale, brutta e bella, tutto insieme. Come non adorarla?”

Ritaglio di la Repubblica
Non ci credevate eh?

Come non adorare Bangkok?

Io e Osborne non siamo però in gran buona compagnia. Non molti dei turisti che ci passano amano Bangkok. Transitano ma pochi si fermano, magari disgustati da Khao San Road (a me non dispiace), dall’inquinamento, dalla povertà e dallo squallore che ogni tanto fanno capolino.

Io no, amo Bangkok, tanto da ritornarci tra poco (si, lo posso dire).

Riannodiamo il filo del discorso e torniamo al libro. Se la cifra caratteristica dei saggi di Osborne è l’ironia dark, un certo sguardo cinico, distaccato, quasi divertito rispetto alle dinamiche del turismo moderno, in questo “Cacciatori nel buio” Osborne mantiene una visione critica del puritanesimo proprio della morale protestante (o del senso di colpa cattolico), ma questa critica, questa scelta di non giudicare, non è sbattuta in faccia al lettore in modo eclatante come avveniva in “Bangkok”. Diciamo che viene più che altro srotolata come un tappeto su cui poi il lettore passeggerà sopra mentre accompagna i due protagonisti in giro per la Cambogia.

È la Cambogia bellezza!

Si, questa volta Osborne non sceglie la Thailandia ma la Cambogia. Uno Stato dalla storia complessa e terribile (anche se, in fondo, non si potrebbe dire di qualsiasi Stato?) e dove l’applicazione degli schemi di ragionamento tipicamente occidentali ha creato danni enormi (eufemismo).

La copertina del libro "Cacciatori nel buio" scritto da Lawrence Osborne ed edito da Adelphi
La copertina del libro “Cacciatori nel buio” scritto da Lawrence Osborne ed edito da Adelphi

Entriamo nel dettaglio? no, una parente storica tocca sorbirla

Qualche precisazione storica è d’obbligo. Per quanto il regime di Pol Pot e dei Khmer rossi sia caduto nell’ormai lontano 1979, in seguito all’invasione della Cambogia da parte delle forze vietnamite, gli spettri provocati dal genocidio messo in atto dal regime aleggiano tutt’ora sul paese del sud est asiatico (senza contare che varie forme di guerriglia comunista-khmer sono sopravvissute fino quasi al 2000 e poi una rea di voci circolano sulla morte di Pol Pot, teoricamente avvenuta in clandestinità nel 1998).

Insomma la Cambogia si porta sulle spalle un peso non indifferente, un macigno sisifiano con cui è ancora difficile fare i conti e avvelena tutta l’esperienza politica e pseudo democratica (Hun Sen, l’attuale primo ministro della Cambogia, vanta il ragguardevole record di primo ministro più a lungo in carica della storia, visto che è al vertice del governo dal 1985, evidentemente ha dalla sua una brillante macchina elettorale).

Un confine da far west

Nella mia esperienza molto piccolo borghese, la Cambogia rimane un luogo abbastanza selvaggio. Un far-east tropicale, specie sulle strade del nord, vicino al confine Thailandese e lontano dalle classiche mete turistiche come Angkor, Phnom Penh o il lago Tonle Sap.

Forse le cose sono cambiate dal 2014 ma il passaggio del confine tra Laos e Cambogia è stato uno dei più difficoltosi ed antipatici che mi sia capitato di affrontare, con casi di lampante corruzione, atmosfera da “peggiori bar di Caracas” e turisti spremuti come bancomat fino all’ultimo centesimo. Inutile dire che in certi casi non rimane molto da fare. Qualcuno dice che meno importante è la nazione più è facile che i poliziotti siano corrotti.

Ci può essere della verità in tutto questo ma non voglio stare qui a dare giudizi, la vita laggiù è piuttosto difficile e in ogni caso la Cambogia rimane a contendersi con il Myanmar il poco invidiabile primato di paese più povero degli stati del sud-est asiatico. Questo fatto, da solo, spiega indubbiamente molto.

E il libro “cacciatori nel buio”?

Si, c’è anche un libro di cui parlare per cui diamoci da fare. “Cacciatori nel buio” è un romanzo dalle tinte noir, in cui Osborne ha scelto come protagonista un ragazzo inglese che si trova in Thailandia prima e in Cambogia poi e comincia ad accarezzare l’idea di non tornare (più?) nella natia e decadente Inghilterra. Da lì partiranno una serie d’incontri e alterne vicende che da un lato denotano la profonda conoscenza dell’autore di città come Phnom Penh e della Cambogia in generale, dall’altro stendono un velo di malinconica tristezza su tutto e tutti.

Attraversamento del fiume
Traghetto che attraversa il fiume Mekong a Stung Treng, Cambogia. Pensate a “LA regina d’Africa” con Humphrey Bogart e Lauren Baca.

È in effetti strano (strano/interessante per intenderci) come Robert, il protagonista, sfugga da un’esistenza grigia e spenta in Inghilterra per finire in un paese che, per tanti altri motivi, percepisce come anch’esso decadente e “grigio”. Quasi che fosse il protagonista a portarsi dietro una nuvola di fantozziana memoria.

Non fate l’errore di pensare che il romanzo sia un roller-coaster di azione, intrighi e thriller, questo vorrei precisarlo. La maggior parte delle pagine sono occupate da particolareggiate descrizioni dei luoghi e dei paesaggi, con uno svolgersi lento che ben si addice al temperamento di Robert. Se il protagonista maschile è ben tratteggiato, non mi sento però di dire lo stesso delle incarnazioni femminili, a mio parere un po’ stereotipate. L’ambientazione è affascinante, ma volutamente dimessa, come se gli avvenimenti più o meno tragici siano semplicemente il riflesso del piovoso clima di malinconia e tristezza che avvolge la nazione e le persone che ci vivono.

Concludiamo

Cacciatori nel buio mi ha per certi versi un po’ sorpreso, il che non è una cosa negativa. Da turista nudo, alla Bangkok cafonal e un po’ sporcacciona, c’era un certo filo conduttore: dissacrante, cinico, senza Dio, ma arguto, vivo e vitale, senza la necessità di ergersi a giudice di nessuno.

In “Cacciatori nel buio” Osborne ha scelto atmosfere più rarefatte, il tempo rallenta e le descrizioni del paesaggio e del tempo (atmosferico) cambogiano godono di un notevole spazio. Se siete nel mood per rallentare un po’ e andare a fare un viaggio in Cambogia, questo è un buon libro. Qualora stiate cercando qualcosa che vi faccia correre sule ali di qualche droga esotica e go-go bar allupante allora forse è meglio dirigersi da qualche altra parte.


Bene, il post su “Cacciatori nel buio” è finito. Se avete voglia di leggere un post su un altro libro molto interessante, ma questa volta un saggio sulla diseguaglianza, allora direi che il caso di procedere con “La grande livellatrice” di Walter Scheidel.

Detto questo si può proseguire con un altro libro…Cosa ne pensate di un Atlante immaginario? o magari “Il leopardo di Kublai Khan” di Timothy Brook.

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