Ci tengo molto ai libri che compro e leggo in viaggo e “A line in the sand” di John Barr non fa differenza. Mi chiedete perché? diciamo che in genere si crea un legame particolare con i libri che leggo in viaggio, un legame che fissa su pagina le sensazioni provate in viaggio e le riporta poi fino a casa (quasi sempre almeno. DFW, ovunque tu sia, spero mi perdoni ma ricordo ancora la sfortunata scelta di Infinite Jest come libro di viaggio).
Ecco perché, mentre sono seduto sul sedile passeggero di una moto vietnamita in partenza per il passo di Hai Van (vi ricordate lo speciale di Top Gear?) mi viene quasi da urlare “stop stop, the book!”
A line in the sand, introduzione
Il libro in questione, che mi ero dimenticato in albergo, era, penso lo abbiate capito, proprio “A line in the sand”.
Si tratta di un saggio il cui focus è il Medioriente ed in particolare i complicati rapporti tra francesi e inglesi in questa parte del mondo. La “line in the sand” del titolo, la linea nella sabbia, è quella linea immaginaria che, andando sulla mappa dalla I di Acri alla L di Mosul, avrebbe dovuto dividere il medioriente in due sfere d’influenza, a nord quella francese e a sud quella inglese. Nella Storia con la S maiuscola si possono infatti ritrovare molte delle radici delle problematiche che ci portiamo drammaticamente dietro oggi (Palestina, Libano, Iran e intrecci vari).
Di cosa parliamo quando parliamo di colonialismo in Medioriente
La storia delle mire colonialiste europee sul medioriente affonda le proprie radici nella caduta dell’Impero Ottomano e nella fine della prima guerra mondiale. In questo periodo furono gettati i semi di quella che diventerà la “questione palestinese” e, più in generale, la questione mediorientale.
A creare le problematiche mediorientali che ancora oggi vengono affrontate contribuì la fame di risorse da parte dell’Europa (in particolare del petrolio, appena scoperto in Iraq e che giungeva al porto di Haifa in Palestina), la causa ebraico/sionista esplosa dopo la seconda guerra mondiale ma esistente già prima, e l’ovvio desiderio d’indipendenza dei popoli arabi.
Oggi la situazione è più o meno questa:
- i palestinesi rimangono in pratica senza uno Stato. La molto difficilmente proponibile soluzione dei due stati continua ad essere portata avanti a parole, anche se poi è guardata con sospetto da un lato e dall’altro per la sua, evidente, difficoltà di applicazione.
- Israele si spinge su posizione sempre più rigide ed identitarie
- l’Iraq è ancora preda di un’instabilità anche frutto dell’invasione americana
- la Siria è … non saprei esattamente dirlo
- il Libano è in bancarotta e al tracollo sociale oltre che finanziario
e insomma il bandolo della matassa, invece che sbrogliarsi, si fa sempre più ingarbugliato.
A line in the sand, cosa ci racconta il libro
Lasciamo però le noiose analisi da quattro soldi e passiamo al libro. Questo ripercorre gli eventi che hanno portato alla sconfitta dell’Impero Ottomano (vi ricordate T.H. Lawrence, Lawrence d’Arabia?) e alla spartizione delle sue spoglie mediorientali tra le potenze coloniali francesi e inglese.
Grazie all’accesso a nuovi documenti desecretati sia dalla Francia che dalla Gran Bretagna, il quadro che ne esce fuori è, se possibile, ancora peggiore di quello che si pensava.
Non c’è solo, infatti, il famigerato accordo Sykes – Picot, che disegnava quella immaginaria linea nella sabbia che avrebbe portato Palestina, Giordania e Iraq alla Gran Bretagna, Siria e Libano alla Francia. C’era anche infatti una generale animosità e una totale sfiducia reciproca tra le due potenze coloniali, al punto che i popoli di quelle zone (arabi prima ed ebrei poi) venivano spesso usati come pedina in un pericoloso gioco volto a mettere in difficoltà quelli che in Europa erano alleati ma in medioriente erano, quasi, nemici.
La formula dei mandati
Non ci vorrà molto però per arabi ed ebrei, per trovare i punti deboli delle potenze coloniali e sfruttarli a proprio vantaggio.
Il mandato francese, non senza un bagno di sangue a Damasco, finirà in Siria nel 1946 e in Libano nel ’45. Quello inglese in Palestina si concluderà nel ’48 mentre l’Iraq si era già reso indipendente nel 1932 e la Transgiordania (l’odierna Giordania sebbene con confini ad ovest leggermente diversi) nel 1923 (dichiarata, effettiva e totale nel 1946).
L’idea dei mandati, formula attraverso la quale si cercava di ammantare di un senso di giustizia un’operazione prettamente coloniale per cui le nazioni europee mandatarie avrebbero accompagnato verso l’indipendenza le nazioni controllate, si era rivelata un fiasco che avrebbe messo a dura prova l’Inghilterra e rivelato fino a che punto la Francia fossa pronta ad andare per difendere il suo impero coloniale (si veda poi successivamente l’Algeria e il Vietnam).
Alla fine l’incredibile confusione in parte creata ad arte e in parte già presente sul territorio, ha portato una serie di guerre e di tensioni che proseguono a tutt’oggi. Per essere una linea immaginaria tracciata da due persone arroganti che non avevano certo a cuore le sorti delle popolazioni interessate, questa linea nella sabbia è stata piuttosto duratura.
A line in the sand conclusione
Il libro è scritto bene, si legge velocemente pur essendo estremamente denso di informazioni, nomi e date. A ripensarci diventa quasi difficile capire come sia stato possibile che da una tale densità (in fondo si tratta di un periodo di 30 anni e di un’area relativamente ridotta) emerga un resoconto così chiaro.
Non rimane che complimentarsi con Barr e consigliare questo libro a chiunque sia anche solo lontanamente interessato alla questione.
Bene, l’articolo su “A line in the sand” è finito. Il libro è, inutile che ve lo dica perché credo lo abbiate capito, davvero meritevole, soprattutto per gli appassionati di storia come il sottoscritto. Ora, se volete proseguire vi lascio qualche altro link.
Storia del Medio Oriente Moderno di James Gelvin
Il bellissimo I ragazzi di Barrow, storia delle espllorazioni inglesi alla rcierca del passaggio a nord ovest ma non solo
Noi però gli abbiamo fatto le strade
Oppure, se volete viaggiare con i piedi più che nel tempo, rispondo alla domanda se Buenos Aires sia pericolosa e se Rio de Janeiro sia pericolosa.